La perfezione eterna del marmo.

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Storia e leggenda

Lo stesso nome “marmo” evoca, nella sua derivazione dal greco marmaros, che significa “pietra splendente”, l’aspirazione all’eterna bellezza. Nel corso dei secoli, Il suo impiego in edifici tra i più maestosi al mondo è prova inconfutabile della sua elegante solidità. Edifici come il Pantheon di Roma, il Partenone di Atene eil Taj Mahal in India sono stati realizzati, non a caso, nei più pregiati e duravoli marmi dell’epoca , ma già gli Egizi e i popoli della Mesopotamia avevano impiegato il marmo per la costruzione di edifici pubblici e monumenti.

Il marmo bianco era considerato il più raffinato, perchè omogeneo e privo di impurità. Ancora oggi nell’immaginario di tutti il marmo è associato al bianco. Il marmo bianco, già all’epoca, veniva estratto soprattutto nelle cave di Luni a Carrara, centro del commercio marmoreo sin dal tempo dell’Impero Romano. I classici lo consideravano l’unico puro e di valore, mentre i marmi colorati erano visti come pietre impure, per questo gran parte dei monumenti e delle statue costruiti allora sono in marmo bianco. Tuttavia tale credenza fu solo di breve durata e molto presto anche i marmi colorati , in particolare pregio erano quelli importati dall’Egitto, dalla Tunisia, dalla Persia, dall’Anatolia e dai Pirenei, vennero apprezzati e utilizzati in scultura e architettura.

Il marmo era difficile da estrarre e quello del “cavatore” era ancticamente un lavoro molto rischioso. La pietra veniva tagliata a mano con mazzoli e scalpelli, cercando di sfruttare le venature naturali della roccia; nelle fessure che si creavano si inserivano dei cunei che venivano poi irrorati d’acqua e aiutavano la pietra a staccarsi dal resto della roccia. Prima di staccare la roccia dalla montagna, bisognava liberarla dallo strato superficiale, che sarebbe stato inutilizzabile; questo era il compito del “terchiaiolo”, che si calava con una fune ad ispezionare il fronte della cava, e faceva cadere le parti pericolanti.

Nel Settecento si iniziò ad usare l’esplosivo per l’escavazione della roccia. La tecnica di abbattimento con la polvere nera era chiamata “varata” e richiedeva una lunga preparazione: si scavava a mano un profondo foro nella parete da abbattere in cui inserire la dinamite, poi si procedeva con l’esplosione e la grande parete si spezzava dividendosi in tanti blocchi. La varata era uno spettacolo tanto suggestivo quanto pericoloso per chi vi lavorava, perchè la roccia cadeva a forte velocità come una valanga, sollevando un grande polverone bianco.

Sul finire dell’Ottocento fu introdotta la tenica del filo elicoidale per tagliare il marmo nelle cave. Con una fune formata da tre fili d’acciaio avvolti ad elica, costantemente cosparsa di acqua e sabbia, si potevano staccare grandi blocchi di pietra con un notevole risparmio di fatica per i cavatori. I grandi blocchi dovevano infine essere “riquadrati” e questa era competenza dei “riquadratori” che, con martello, scalpello e tanta pazienza, davano al blocco una forma quadrata, in modo da rendere agevole il trasporto. Oggi l’estrazione del marmo è un processo molto meno rischioso, grazie alle innovazioni tecnologiche che hanno reso la cava un ambiente più sicuro e il lavoro meno faticoso. Si usa il filo diamantato per tagliare i blocchi di marmo ad una velocita prima inimmaginabile, e anche il trasporto è decisamente più facile grazie alle pale meccaniche e ai camion.

Scultura Naike 40cm
Statua Vestale in marmo bianco Carrara 2mt

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